the experiment continues: August & September In the past two months I have tried to further improve my skills in avoiding plastic and although I still have a long way to perfection I did somehow better. The hardest to avoid is packaging for the following:
However I feel also content noticing that compared to the previous months I managed to completely avoid some other stuff such as:
I also learnt that the most frustrating moments are when you see the waiter coming with plastic straws in your cocktail or fresh juice just because you lowered your level of alertness and forgot to explicitly request “no straw please!!”. As for the 4 colourful plastic sticks in my sandwich…I honestly did not see that coming! l’esperimento continua: Agosto e Settembre
nei due mesi passati ho fatto il possibile per migliorare le mie tecniche per evitare la plastica e nonostante sia ancora lontano dalla perfezione ho raggiunto qualche risultato. La parte più difficile è stata gestire gli imballi dei seguenti:
Ad ogni modo mi sento soddisfatto nel constatare che rispetto ai due mesi precedenti sia riuscito ad evitare completamente i seguenti:
Ho anche imparato che i momenti di maggior frustrazione sono quando vedi il cameriere portare il tuo cocktail o la spremuta con una cannuccia dentro al bicchiere per il semplice fatto di aver abbassato la guardia e non aver esplicitamente detto “nessuna cannuccia, grazie!!”. E per quanto riguarda i 4 stecchini di plastica colorata nel sandwich, devo dire che proprio non me li aspettavo… #PlasticFreeLife #BastaPlastica #VitaSenzaPlastica Plastic Free July Green Foot Environment Care Community ♻️❤️🌍
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La scorsa settimana mi è capitato per caso di leggere un articolo del Friday Gurgaon riguardo alle responsabilità comuni nei confronti degli animali. In particolare si faceva cenno al problema crescente delle vacche senza padrone che si aggirano ai bordi delle carreggiate e che finiscono spesso vittime di incidenti stradali. Il giornalista esortava gli autisti a fornire soccorso agli animali feriti (cosa scontata visto che nessun indiano lascerebbe morire una vacca per strada) e a prendere nota del numero di telefono di uno dei centri di accoglienza per bovini randagi della periferia di Gurgaon: il "vacchile" Gurugram Gaushala. Anche io ho segnato il numero e oggi pomeriggio ho chiamato per farmi dare indicazioni su come raggiungerlo. Dopo aver attraversato strade impolverate, montagne di rifiuti e villaggi cadenti, io e Sham siamo finalmente arrivati al rifugio. Prima di entrare mi sono informato, e seguendo l'usanza del luogo, ho acquistato foraggio da offrire in dono alle bestie come segno di preghiera. Gli indiani credono che prendersi cura anche di una sola vacca equivalga ad ingraziarsi tutti (ma dico tutti) i 33 milioni di dei che compongono l'olimpo induista. Per questo è consuetudine vedere persone che portano cibo alle vacche in strada, o che offrono loro del cibo prima di fare colazione la mattina; è il modo più sicuro di garantirsi la grazia divina. Il foraggio costava pochissimo, appena 3 rupie al kg. Il punto è che - ho scoperto sul momento - le vacche mangiano tanto, e quasi nessun fedele si presentava con meno di un quintale di roba da mangiare…non potendo essere da meno, anche io ho ordinato 100 kg di erba fresca da portare al cospetto delle vacche sacre! Questo mi avrebbe dato la possibilità di renderle felici, aumentando così le chances di vedere i miei desideri avverarsi (specialmente se rivolti alla vacca albina, animale sacro per eccellenza capace di esaudire qualsiasi richiesta). Io e Sham ci siamo così diretti verso il centro seguiti dal tiratore di rickshaw carico di 6 sacchi pieni di foraggio fresco. Appena arrivati siamo stati accolti da un giovane veterinario che parlava un buon inglese. E' stato grazie a lui che ho scoperto un mondo davvero nuovo. Mentre mi accompagnava dentro i recinti, mi ha raccontato che il centro di accoglienza ha in carico ben 1433 capi di bestiame, di diverse razze provenienti da ciascuno dei 28 stati che compongono l'India. Purtroppo la mia ignoranza in merito alle razze bovine ha reso inutile il suo sforzo di scovare in quel mare di vacche la l'esemplare della tipica razza dell'Uttar Pradesh, con le corna in un modo e la gobba in un altro, o la tipica di Calcutta e via dicendo. Io annuivo per non deluderlo, ma a me parevano quasi tutte uguali! Tutte le vacche hanno la possibilità di godere del sole di giorno pascolando nel recinto esterno e di stare coperte la notte dentro il recinto con tettoia. Alle 5 di sera i lavoratori del centro hanno aperto i cancelli e come in un film western una mandria infinita di vacche al galoppo si è travasata con sorprendente ordine da un recinto all'altro, richiamate dall'odore della cena che le stava aspettando. Il giorno dopo il recinto si sarebbe riaperto per farle passare un'altra giornata al sole. Servite e riverite come delle regine! La sera è anche il momento della mungitura. Ho chiesto al veterinario quale fosse la regola per tale operazione, ero piuttosto curioso di capire se il vitello viene tolto alla madre come avviene nelle latterie dei nostri paesi "sviluppati": << Assolutamente no! Noi vogliamo che il vitello cresca forte e sano, e quindi lasciamo che prenda il latte fino a che è sazio…noi mungiamo quello che rimane! >>. Ha detto che le vacche solitamente riescono a produrre latte anche fino a 15 mesi (dal parto, presumo), per cui dopo lo svezzamento possono continuare a usufruire di latte fresco senza tuttavia toglierlo a nessuno. L'etica nel trattamento degli animali fatto realtà. La maggior parte di questi animali si trova al centro perché randagio. Succede che qualcuno noti una vacca girovagare senza meta e senza padrone, chiama il centro e loro la vanno a prendere per offrirle una casa e una famiglia. Alle volte si scopre che la vacca randagia non è, ma il padrone può sempre stare certo di ritrovarla al centro, dove nessuno le farà del male. Molte delle vacche sono inoltre adottabili da chi desideri averne in casa per il latte o per motivi religiosi: << per noi Induisti prendersi cura di una vacca è il miglior modo di attuare Moksa (liberazione) per ottenere la rottura del ciclo delle rinascite (Samsara) e il raggiungimento del Nirvana >>. Non tutte le vacche randagie arrivano sane al centro. Alcune di esse sono vittime di incidenti stradali, nel qual caso vi sarà sempre qualcuno che chiamerà il centro per fornire soccorso. E come prestare un dignitoso soccorso ad un animale ferito se non con una ambulanza specifica per le vacche! Trovo difficile da concepire l'idea di un'ambulanza che sfreccia nel traffico per soccorrere una vacca quando dubito che qua tale servizio sia disponibile per un essere umano…ma questa è l'India!! Chi sono io per giudicare? Fatto sta che il centro è provvisto anche di ospedale dove gli animali feriti sono presi in cura fino alla guarigione. Anche questi hanno a disposizione un'area coperta e un'area all'aperto, e le vacche più debilitate stanno dentro sdraiate a terra e al caldo con coperte di lana. Ho visto molte vacche con arti amputati e bendaggi per coprire le ossa sporgenti. Quando a causa di un tamponamento l'osso si spezza, spesso i frammenti di osso non sono estraibili e farebbero cancrena, per questo bisogna amputare, ha spiegato il veterinario: << ma dopo qualche tempo imparano a camminare su tre gambe >>. Sempre per rimanere in tema di notizie sorprendenti, il centro ha giustamente un costo, e mi chiedevo chi finanziasse tale centro: << la municipalità di Gurgaon mette a disposizione i fondi necessari per il cibo e i medicinali. Esiste poi una fondazione specifica che raccoglie fondi per il mantenimento delle strutture e del personale che lavora qui, più di 80 lavoratori >>. Mi è stato mostrato che tutti i lavoratori hanno un alloggio per stare con le famiglie e i loro bambini dispongono di una piccola scuola all'interno del centro. Ho chiesto incuriosito dove fossero i tori. Il veterinario mi ha spiegato che per fecondare le vacche da riproduzione ne bastano appena due, capaci di montare fino a 150-200 vacche al giorno a testa! Ragione per cui tutti i vitelli maschi sono spostati in un recinto a parte fino a che una volta cresciuti saranno castrati e inviati in un altro centro, in attesa di essere dati a famiglie come aiuto di lavoro nei campi. In un attimo si è fatta sera, e alcuni lavoratori stavano mungendo delle vacche tenute vicine al proprio piccolo. Ho chiesto se fosse stato possibile comprare un pò di latte, ma mi hanno risposto che tutto il latte è suddiviso tra le famiglie dei lavoratori e in parte donato ad una scuola con bambini disabili o malati. Non ho dunque insistito, ma ho avuto la fortuna di poterne assaggiare un po' nel the che mi hanno offerto prima di andarmene. Dei venti giorni passati a Gurgaon, tra traffico, smog, sporcizia, caos e disagi, questa visita al centro di accoglienza per vacche randagie era quello che ci voleva. Così potrò andarmene con un ricordo dell'India per come ci piace immaginarla, terra di spiritualità, di rispetto per la natura e di compassione per tutte le creature viventi, tutte caratteristiche che purtroppo, a guardare bene, stanno perdendo di importanza a favore dello sviluppo economico e della crescita. Sto dormendo una media di 5 ore a notte, dopo giornate faticosissime di lavoro nei campi, sono sfinito fisicamente ma mi sento felice. Due italiani a promuovere le pannocchie lesse biologiche alla fiera di Taipei Lo scorso fine settimana abbiamo lasciato i campi per dirigerci in "città", nuovamente a Taipei, per vendere gli stessi prodotti che il giorno prima avevamo raccolto e lavato nei fossati pieni di acqua che scende dalle montagne. A Taipei ci attendevano 2 mercati del fine settimana (ai quali la fattoria partecipa sempre) e uno stand speciale in occasione della fiera delle piccole imprese innovative. Il sabato dovrebbe essere il giorno di festa, e invece noi ci siamo svegliati addirittura un'ora prima dei giorni feriali, per partire alle 4:30 am e raggiungere la capitale entro le 9:00 del mattino per l'apertura dei mercati. Dopo ore di viaggio e parecchie soste per riempirsi di caffè, siamo arrivati al primo mercato dove clienti di fiducia stavano attendendo intrepidi lo scarico delle verdure fresche. In men che non si dica il banchetto è stato preso d'assalto, con noi che riempivamo le cassette di legno, e casalinghe che le svuotavano alla velocità della luce per poi correre a casa a preparare il pranzo. Shaun - il volontario di Hong Kong - è rimasto ad occuparsi dello stand mentre il resto di noi è corso verso il secondo mercato, quello dietro stazione principale. Anche qui stessa scena, clienti in attesa e noi assieme ai gestori della fattoria che con gran sorrisi cercavamo di far pazientare le signore mentre scaricavamo le cassette di verdura dal furgone. Una volta sistemato il banchetto, abbiamo lasciato tutto in mano ad Alice - la volontaria di Hong Kong - per fiondarci verso il vero grande evento: la fiera di Taipei. Siamo arrivati giusto in tempo per poter entrare con il furgone e scaricare tutta la merce. E poi appendi i poster, sistema le cassette di legno per mettere le verdure, posiziona i cartelli con nomi e prezzi, abbellisci qua e la ed eccoci pronti, già esausti prima di cominciare e con due giorni di fiera davanti a noi. E' una sensazione strana trovarsi ad una fiera nella capitale di Taiwan, all'ombra del terzo grattacielo più alto del mondo (il Taipei 101) a vendere cavoli e carote a clientela orientale! Ed è stata un'esperienza esaltante vedere quanto i Taiwanesi apprezzino l'agricoltura biologica e ne conoscano i vantaggi, invece di lamentarsi per il costo elevato. Se c'è qualcosa che ho imparato in questi giorni di duro lavoro, è che il biologico costa, ma per un motivo. Le erbacce se non vengono uccise da diserbanti nocivi crescono a dismisura, e l'unico metodo (o quantomeno quello usato qua) è quello di piegarsi fino a spezzarsi la schiena per estirparle a mano. Una a una. Per il lavoro che c'è dietro, il biologico non costa abbastanza, direi! E' stato divertente trovare modi per vendere alcuni prodotti anziché altri, o cercare di proporre ciò che meno la gente chiedeva, come le pannocchie. Quando ci siamo accorti che non tanta gente le acquistava, ecco che abbiamo messo a bollire un pentolone d'acqua e abbiamo cominciato a vendere pannocchie lesse, uno snack che non può mancare mai e che infatti ha decretato il successo di questa strategia di marketing. Nel giro di pochi minuti abbiamo venduto più pannocchie di tutte quelle vendute nella giornata precedente. La domenica sera, con i piedi doloranti abbiamo raccolto quel briciolo di forze rimaste per smontare tutto, rimettere le rimanenze nel furgone e riprendere la strada (tutta curve) di casa. Nota positiva, il giorno dopo avremmo potuto dormire la mattina. Nota negativa, siamo arrivati a casa alle 4:00 di mattina del lunedì. Informazione degna di nota è stata quella riportataci da Rita - signora Taiwanese che lavora con noi nei campi - questa mattina: alla radio hanno passato la notizia di un particolare stand fieristico in cui 3 stranieri, tra cui due ragazzi italiani che in uno strampalato cinese vendevano pannocchie lesse biologiche alla fiera di Taipei... Tofu buono si, ma una torta di carote... Da quando siamo arrivati in fattoria abbiamo ripreso a mangiare in maniera salutare. Essendo i gestori vegetariani, i pasti sono senza carne e bio. Non potevo chiedere di meglio. Alla sera, dopo una giornata di lavoro intenso, anche un pasto frugale e semplice di riso, verdure e tufo ha un sapore unico. Poi comunque visto che il totu ha dei limiti fisici nell'esaltare un palato, Andrea ha pensato bene di sfoggiare alcune delle sue arti culinarie per preparare la torta alle carote, con le carote bio che abbiamo estratto dalla terra qualche giorno fa. Il risultato è stato esaltante, i nostri colleghi e gli altri volontari hanno apprezzato moltissimo (tanto che stanno pensando di vendere la torta ai mercati del fine settimana) e noi in un boccone siamo ritornati a casa. Risaie e risate E' da ieri pomeriggio che mi ritrovo a piedi nudi nella malta fino alle ginocchia a rovistare nel fango per strappare le erbacce che crescono vicino alle piantine di riso biologico coltivato dalla fattoria. Ho ancora tanta di quella terra sotto le unghia che anche scrivere sulla tastiera crea una qualche sensazione di fastidio, che tuttavia è coperta dal prurito che mi ha invaso le gambe (non so bene se per le zanzare, le pulci dei gattini o che altro). Abbiamo cominciato ieri pomeriggio, e ripreso questa mattina alle 5:30 am. Sotto la guida di Rita, esperta nell'estirpare erbacce a mano, a piedi nudi ci siamo immersi di nuovo nell'acquitrino fangoso del campo di riso e abbiamo ricominciato a strappare tutte le erbacce dalla radice, che per raggiungere (la maledetta!) non c'è altro modo di piantare le braccia nella malta e rovistare con le dita. All'inizio temevo la presenza di qualche bestia strana, ma Rita ci ha rassicurati. Gli animali che vediamo (ragni d'acqua, bruchi pelosi e zanzare giganti) non sono pericolosi, e quelli che non vediamo (granchi del fango) non dovrebbero esserlo. Anche qui la posizione è sempre la stessa, piegati a 90 gradi non possiamo fare altro che sgranchirci di tanto in tanto cogliendo l'occasione di una battuta, di una canzone o un semplice "mamma mia!" che fa scoppiare i nostri colleghi Taiwanesi in una grassa risata. Il sole appena spuntato tra le montagne continua la sua ascesa, e quando comincia a scottare è il suo modo per dirci di tornare a casa a riposare, che lui tanto ci aspetta nel pomeriggio. Sono partito e come da tradizione mi sono portato dietro il libro da cominciare in aeroporto e dal quale farsi accompagnare nei primi giorni di ambientazione. Il primo libro di un viaggio di solito rimane aggrappato ai ricordi, perché letto in un momento di particolare sensibilità emotiva, quella del cambiamento di luogo, di cultura, di distacco dagli affetti. Ecco il libro è - per me - ciò che mi riporta a casa anche quando sono distante, come un profumo familiare.
Questa volta ho scelto - non a caso - Un indovino mi disse di Tiziano Terzani. Dico non a caso perché Terzani in quel libro descrive un intero anno passato in Asia a viaggiare con ogni mezzo tranne che con aerei. La sua decisione era dovuta ad un presagio di tanti anni prima che un indovino di Hong Kong aveva fatto sull'anno 1993 in cui il giornalista non avrebbe dovuto assolutamente volare, o avrebbe rischiato la vita. La profezia in qualche modo si avvererà. Un libro molto interessante, e come tutti i libri di Terzani estremamente piacevole alla lettura. Io a modo mio mi ero messo in testa di voler fare qualcosa di simile, avevo deciso che dal momento in cui fossi atterrato a Qingdao, non avrei più preso aerei fino al 6 luglio, momento del ritorno in patria (!). Ero deciso, convinto! Già mi scocciava il fatto che avessi prenotato il volo interno Pechino-Qingdao, perché non un bel treno? Poi i primi dubbi, quando ho pensato a Shenzhen, nel profondo sud, si parla di quasi 30 ore di treno…eppure mi sono detto che lo avrei fatto, con la mia cuccetta e i miei libri. Anzi, un'ottima occasione per staccarsi dal lavoro e le tonnellate di email. Ero così entusiasta all'idea che non potevo fallire. Oltretutto già stavo facendo i calcoli di emissione di CO2 risparmiata con questa mia scelta (ho letto di persone che per motivi di eco-sostenibilità hanno chiuso con gli aerei, per sempre). Poi la catastrofe. Chiamata urgente dal dipartimento centrale, devo essere a Shijiazhuang il prima possibile "tipo domani?", "no, tipo stasera è meglio". Non ho scelta, mi arrendo al fato. In meno di 12 ore dal mio volo Pechino-Qingdao mi ritrovo a fare check-in per un Qingdao-Pechino. Poi bus, stazione dei treni che grazie al cielo ho potuto evitare avendo trovato un passaggio abusivo fino a Shijiazhuang (le stazioni dei treni in Cina in periodo Capodanno Cinese sono l'inferno, da non augurare al peggior nemico). Dopo due giorni a Shijiazhuang con febbre a 38 eccomi tornare all'aeroporto di Pechino per assistere una paziente in partenza, questa volta a bordo di un veicolo da strada, 5 lunghissime ore (da leggersi con tono Fantozziano). A lavoro ultimato, cerco di tornare a Qingdao, un benedettissimo treno, ma tutto prenotato fino al 30. Il giorno seguente avrebbero aperto le vendite dei biglietti per il 31. Era il 26, io con 3 T-shirt in tutto, sudate, fonate e risudate per la febbre, volevo tornare ed ero di fronte a due scelte, una etica e l'altra pratica. Avrei potuto tornare a Shijiazhuang con i colleghi, altre 5 ore di viaggio, per tentare il giorno seguente di accapparrarmi un treno di ritorno per Qingdao il 31. Garanzie nessuna. Oppure avrei potuto volare la mattina seguente, posto assicurato, 800 yuan e tanta CO2 nell'atmosfera. In questo momento sto scrivendo da una camera d'albergo di Qingdao, quindi fate presto a capire su cosa sia ricaduta la mia scelta. Terzani lo considero un grande maestro, ma che schiappa di allievo mi sento! |
chi sonoUn semplice viaggiatore, uno dei tanti, alla ricerca di quel qualcosa che so già essere quasi inafferrabile. Cosa che rende l'intero percorso ancora più avvincente. il blogNessuna pretesa prima di tutto. Un posto virtuale nel quale dare forma ai miei pensieri e ricordi per segnare le tappe dei miei viaggi, e del mio viaggio. archivi
April 2020
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